L’intervista a Gabrielle Fellus: «Donne, cambiate il mondo a testa alta»

Se non avessi indossato la minigonna. Se non avessi preso l’autobus ma un taxi. Se avessi evitato quel rossetto o se non fossi andata dal parrucchiere proprio quel giorno.

Frasi che risuonano incessantemente nella testa delle vittime di violenza, fisica o verbale, e che somigliano molto a un tentativo (disperato) di individuare una colpa dove proprio non esiste: in loro stesse. È un tratto che si è sviluppato prepotentemente nella nostra società e che è tanto pericoloso quanto ancestrale.

Con questo proposito nascono i progetti di Gabrielle Fellus: cercare di estirpare qualcosa che si è diffuso «come un cancro», come lei stessa lo definisce. E per cambiare le cose, «bisogna cambiare prima di tutto il pensiero». Rivalutare gli assiomi e gli schemi con cui siamo cresciute (e cresciuti) e provare a ribaltarli totalmente.

Gabrielle Fellus, che risede a Milano e opera anche sul territorio organizzando workshop e attività nelle scuole, negli ospedali e negli enti pubblici, ha iniziato a ribaltare quegli assiomi molto tempo fa. Si è affermata come istruttore di Krav Maga, sistema di autodifesa e combattimento israeliano fondato su saldi principi etici e morali. Ha cominciato con l’insegnare difesa personale agli operatori di sicurezza, in un primo momento a un’utenza prevalentemente maschile.

«Le donne partecipavano meno – racconta Fellus – erano sempre più restìe quando si trattava di autodifesa». Finché Gabrielle, forte di una formazione e di una mentalità ‘atipiche’, si è avvicinata ai workshop di autodifesa rivolti a un’utenza molto più specifica e delicata: quella delle donne che avevano subìto violenze, all’esterno o all’interno delle mura domestiche. «Ho capito che è molto diverso insegnare a difendersi a chi vive all’interno di aree sofferenti – spiega -. Non sempre in questi casi è sufficiente l’approccio psicoterapeutico. C’è poco di cui parlare. Non devo parlare della mia colpa, il problema è levarmela. Lì ho compreso che dovevo cambiare il mio approccio, e avviare un nuovo progetto, una nuova missione. Così ho iniziato a dedicarmi a queste aree delicate. Partendo dal concetto che la donna deve cambiare la testa, prima di pensare alla difesa».

Il progetto di Fellus si è così tramutato in qualcosa di diverso ed è nata ‘I respect’, un’associazione culturale che pone le sue basi su fondamenti scientifici. Sviluppata per contrastare disagi di genere, violenze e bullismi, l’associazione organizza attività e incontri con l’obiettivo di diffondere la cultura del rispetto. Gabrielle ha creato una rete con il Centro Ascolto Soccorso Donna del San Carlo e con altri ospedali del territorio. Ed è diventata responsabile della prima palestra al mondo di ‘Autostima ed Autodifesa I Respect’ aperta all’interno di un ospedale a Milano, il Fatebenefratelli, nella sua Casa Pediatrica. Dove è stata registrata una percentuale elevatissima di risultati positivi. L’obiettivo? Empower, ovvero rinforzare.

Riuscire a trasmettere, attraverso le tecniche di autodifesa, la consapevolezza che esiste un aggressore, che la colpa non è dentro la vittima, ma al di fuori. Far passare il messaggio che ‘Io non mi merito questa violenza’ e che ‘La mia libertà non deve essere limitata’.
Cambiare la testa, per poter reagire. E parallelamente, lavorare sulla radice del problema: l’aggressore (o il bullo), a cui Gabrielle spesso si rivolge direttamente nei suoi lavori. «È inutile grattare sulle vittime, ciò che va cambiato è l’origine del problema». Gabrielle insegna inoltre a non rispondere alla violenza con la violenza: bisogna reagire con la consapevolezza. Si può partire anche da una risposta vocale, in particolare nei casi di violenze verbali. «Tirar fuori una voce che blocchi la denigrazione, per evitare che il mio aggressore acquisisca più potere. Nessuno ha il diritto di trattarmi così o di farmi sentire

inferiore: le donne devono sapere questo. Le vittime di violenza devono accettare la rabbia che hanno dentro e imparare a canalizzarla». In questo modo si lavora anche su sicurezza e prevenzione. Il concetto fondamentale, su cui interviene Gabrielle, è la relazione tra testa e corpo. «In chi ha subìto una molestia, cambia la postura, cambia la reattività del corpo. Piccole cose? Proprio per niente. Per questo bisogna prima modificare la mentalità, per poi passare, successivamente, all’autodifesa. Le donne non devono menare: devono capire, invece, che nessuno le può toccare. Che devono essere rispettate».

E il mondo, secondo Gabrielle, si cambia quando il lavoro è autentico. Ricordandosi, costantemente, di tenere alta la testa.

Margherita Abis