A misura d’uomo. La città vista da una carrozzina

Tante le associazioni e le realtà sul territorio. Tra loro anche Asped


Pochi servizi e un’assistenza che ricade sulle spalle dei familiari. È questa la vita dei 4,5 milioni di italiani disabili, il 7,2 per cento della popolazione, secondo i dati 2017 dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute.
Per sostenere le famiglie dei disabili gravi, il Parlamento ha approvato nel 2016 una legge sul ‘Dopo di noi’, che istituisce un fondo di diversi milioni di euro annui dedicati a progetti di autonomia e indipendenza. Il tema è tornato d’attualità negli ultimi giorni perché, dopo che una parte del fondo era stato tagliato, dovrebbe essere a breve reintegrato.
E anche Sesto San Giovanni è in prima linea quando si parla di disabilità. La città ha concentrato i propri sforzi soprattutto sullo sport: la cooperativa ‘Lotta contro l’emarginazione’ organizza corsi di Baskin (che permette a disabili e normodotati di giocare nella stessa squadra seguendo regole ad hoc che permettono l’emergere delle potenzialità di ognuno) mentre alla polisportiva Superhabily si pratica la boccia paralimpica. Un’altra realtà che ha tracciato un solco positivo nella comunità sestese è la scuola calcio per ragazzi disabili, promossa dalla Pro Sesto allo Stadio Breda.
In città sono presenti anche associazioni che si occupano delle problematiche dei disabili, fisici e mentali. Tra queste c’è Asped, Associazione Sestese Persone Disabili. «La principale difficoltà per una persona disabile – spiega Francesco Paganini, presidente Asped – è muoversi in città». Se chi si muove in carrozzina ha imparato a gestire la vita quotidiana in modo autonomo nella propria casa, diverse sono le barriere architettoniche che incontra quando si muove al di fuori. «Un grosso problema è costituito dai marciapiedi – continua Paganini -, che sono costruiti con tendenze ‘trasversali’, ossia con piano inclinato. Questo rende molto faticoso spingere una carrozzina». Nel corso degli anni, le persone disabili scelgono di trascorrere il proprio tempo libero nei supermercati o nei centri commerciali: «Questi luoghi – precisa Paganini – presentano pochissime barriere architettoniche: sono forniti di ascensori e bagni costruiti su misura. E sono diventate per noi le vere ‘piazze’ di socialità». Sugli effetti della legge ‘Dopo di noi’, Paganini è dubbioso: «Senz’altro una legge utile, i progetti finanziati però hanno poca uniformità: in alcune città ne sono stati avviati di interessanti, mentre in altre, come Sesto San Giovanni, nessuno».


Cosa dice la legge sul ‘Dopo di noi’
Il Fondo e quel taglio di 10 milioni

La legge 112 del 2016, detta ‘Dopo di noi’, è una legge entrata in vigore il 25 giugno 2016, sotto il governo Renzi. Passata con il favore di Pd, Lega, Scelta Civica e Area Popolare e il parere contrario dei 5 Stelle, è la prima norma che riconosce specifiche tutele per persone con disabilità grave, quando vengono a mancare i parenti che li hanno seguiti fino a quel momento. L’obiettivo è garantire autonomia alle persone disabili, consentendogli per esempio di continuare a vivere nelle proprie abitazioni o in progetti di co-housing, strutture gestite da associazioni, senza ricorrere all’assistenza sanitaria, i cosiddetti ‘istituti’. La legge dispone anche la nascita di un fondo con cui le Regioni possono finanziare progetti di assistenza ai disabili proposti da privati, enti o associazioni. Il fondo ha una dotazione triennale di 90 milioni di euro per il 2016, 38,3 milioni per il 2017 e 56,1 milioni dal 2018. Nell’ultima legge di bilancio del 2017 però, il governo Gentiloni ha tagliato di 10 milioni di euro i finanziamenti, riducendoli a 51,1 milioni per il 2018 e il 2019. L’attuale Governo dovrebbe reintegrare quei 10 milioni: il 18 settembre infatti, è stato approvato all’unanimità un ordine del giorno della deputata Pd Elena Carnevali, che: «Impegna il Governo a reintegrare le risorse del Fondo (…) anche attraverso l’adozione di un apposito provvedimento d’urgenza nel corso del corrente anno finanziario».


«Il futuro ci fa paura»

Mirco, che cammina per ore ma non legge e non parla

Non solo invalidità motorie: sempre più alta è l’attenzione verso i disabili psichici, che hanno un’altissima sensibilità e bisogno di cura e attenzione costante, spesso gestiti dalle sole famiglie. «Da quando ho iniziato a notare comportamenti problematici nel mio piccolo Mirco a quando abbiamo avuto una diagnosi precisa, sono trascorsi anni». A parlare è Patrizia, sestese di 62 anni. Un marito e due figli, di cui uno, ora 27enne, è autistico. «Inizialmente ci siamo rivolti a un centro dove per molto tempo ci è stato detto che nostro figlio aveva delle psicosi e che per curarlo avremmo dovuto fare terapia familiare con uno psicologo».
Anni difficili per Patrizia e la sua famiglia: «Mi sentivo in colpa. Pensavo che i miei comportamenti fossero la causa dei problemi di Mirco». Quando arriva la diagnosi di autismo, i problemi non diminuiscono, anzi: «Il percorso scolastico è stato molto difficoltoso e stressante, per Mirco e per noi genitori. Abbiamo avuto difficoltà a trovare insegnanti di sostegno che sapessero gestire le problematiche particolari di nostro figlio. Ma la grossa questione era la stabilità: spesso i suoi insegnanti cambiavano, si alternavano, e questo, per un ragazzo autistico, è molto destabilizzante». Ora Mirco ha terminato gli studi e Patrizia si occupa di lui a tempo pieno: «Mirco è un ragazzo con una sensibilità acutissima e degli interessi tutti legati al movimento e allo sport: non legge, non parla e non gli interessa la televisione. Quasi tutti i pomeriggi cerco di proporgli un’attività stimolante. Lui è un gran camminatore, per cui maciniamo chilometri a piedi». Un’ombra di benessere nella vita di Mirco è arrivata con il Centro Diurno di Segrate: «Molto lontano da un istituto, il centro diurno ha professionisti qualificati e un programma stabile che tranquillizza Mirco e lo ha portato a livelli di serenità mai provati prima». Ma per Patrizia e suo marito, il futuro è un’incognita: «Il destino di tanti ragazzi come Mirco, quando i genitori per anzianità non possono più prendersi cura di loro in modo costante, è quello dell’istituto. Ovviamente questa eventualità terrorizza molti genitori, che dallo Stato avrebbero bisogno di essere alleggeriti di questa preoccupazione e di sapere di lasciare il proprio figlio ‘in buone mani’, una volta che non ci saranno più».