Why not synchro, la magia senza i cinque cerchi

Stagione di gare finita, è tempo di bilanci e di sogni per le Hot Shivers. Quello che si è appena concluso è un anno da record: la squadra di pattinaggio sincronizzato di Sesto San Giovanni, campione d’Italia in carica, ha centrato uno strepitoso nono posto ai Mondiali di Helsinki, lo scorso aprile. Grazie al punteggio portato a casa dalle Hot Shivers, attualmente l’Italia è la quinta forza al mondo di pattinaggio sincronizzato, la terza in Europa. Mai nessuno prima era riuscito a portare il Tricolore così tanto in alto e nella prossima edizione dei Mondiali l’Italia potrà presentare in pista ben due formazioni.

«Mi auguro che il movimento ne possa beneficiare – dichiara Andrea Gilardi, allenatore delle Hot Shivers  -. Era anomala la situazione di questa edizione, perché la Svezia ha deciso di non partecipare. Loro avevano due squadre entrambe nelle prime dieci. Togliendo la Svezia, bisognava centrare almeno il nono posto per rientrare tra le prime cinque nazioni al mondo. C’erano anche Germania, Ungheria, Giappone, Francia e Repubblica Ceca che ambivano a questo piazzamento, ma noi eravamo più pronti, lo abbiamo voluto un po’ più degli altri. E grazie a due performance perfette ce lo siamo meritato». Durante il Mondiale finlandese Gilardi ha ricevuto uno speciale riconoscimento: «Questa era la ventesima edizione della manifestazione ed ero l’unico allenatore ad aver portato sempre la sua squadra ai Mondiali: è dal 2000 che partecipiamo».

Con l’assegnazione dei Giochi Olimpici 2026 a Milano-Cortina è tornato di stretta attualità nel mondo del pattinaggio il tema legato allo slogan ‘Why Not Synchro’. Il pattinaggio sincronizzato, attualmente, non è disciplina olimpica. «Il movimento ‘Why Not Synchro’ è nato quasi per caso – prosegue Gilardi -. In realtà se ne parla già dal 1994. La Federazione Internazionale un paio di volte ha sottoposto al Cio la partecipazione, anche in modo dimostrativo, del pattinaggio sincronizzato. Due volte ci ha provato, due volte non ci è riuscita. La verità è che a comandare tutto sono i diritti televisivi: più uno sport è visibile, più è appetibile. C’è il rischio che questa disciplina venga denaturalizzata. A questo prezzo preferisco stare così come stiamo: se non ci vogliono pazienza, per me lo sport deve essere un mezzo educativo».