Coronavirus: la lettera di Elena, volontaria in ambulanza durante l’epidemia

ambulanza Immagine di repertorio

«Se ad inizio 2020 qualcuno ci avesse chiesto quali fossero le nostre aspettative per l’anno appena
iniziato, sicuramente mai avremmo creduto di vivere un momento così», inizia così la lettera che Elena (nome di fantasia), volontaria soccorritrice dell’Sos Sesto San Giovanni ha inviato alla nostra redazione, raccontandoci quali sono le sensazioni e le paure che stanno vivendo i volontari delle ambulanze in questo momento. Da sempre abituati alle emergenze, i soccorritori, che sono spesso volontari, sono i primi a entrare in contatto con i pazienti Covid positivi, varcare la porta di casa loro, parlare con i famigliari. Non è semplice trovarsi nel giro di poche settimane esposti a un alto rischio di contagio e saper gestire la tensione che ne deriva.

«Questo maledetto Covid-19 è piombato nella vita di tutti seminando timore e tensione tra i soccorritori.
Nella quotidianità associativa, non ci siamo mai tirati indietro nel coprire i turni, compreso le notti
massacranti del sabato o durante la settimana consapevoli del fatto che il giorno dopo i volontari
sarebbero andati a lavorare, ma ora… beh ora le cose sono diverse. Non si tratta più di gestire i classici servizi con scenari a cui purtroppo siamo ‘abituati’: si tratta di rischiare in prima persona, ora più che mai.
Il rischio di contagio è molto diffuso e mai avremmo creduto di affrontare proprio in ambulanza un
nemico così insidioso e perlopiù invisibile.

Noi volontari e dipendenti soccorritori, siamo quotidianamente in quella che potremmo definire ‘una trincea‘, cercando di combattere questa ‘guerra’ con tutto quello che è necessario per prevenire il rischio: i dispositivi di protezione individuale (come mascherine, guanti, camici). Sono proprio questi i dispositivi che permettono di tutelarci, svolgendo in sicurezza il nostro compito e garantendo tranquillità alle nostre famiglie ogni qualvolta rientriamo a casa.

Quando mi chiedono se è cambiata la nostra vita rispondo che sì, è cambiata e non poco come d’altronde si è trasformata anche la nostra associazione, incrementando da metà febbraio (sotto richiesta di Anpas) il servizio di emergenza-urgenza, con un’ulteriore ambulanza sul territorio milanese per sopperire alle elevate richieste da parte dei nostri cittadini.

Tutti abbiamo paura ma stiamo cercando di farci forza a vicenda, proprio perché la coesione e l’unione della squadra è ciò che ci permette di svolgere un servizio al massimo delle nostre potenzialità. È la squadra che ti supporta e condivide con te tutto ciò che accade: è il tuo collega che ti aiuta a vestirti prima di salire in casa di un paziente sospetto Covid-19 ed è sempre il tuo collega che ti aspetta giù con il motore acceso per andare in ospedale. Questo perché non possiamo salire tutti in casa del paziente: da direttive Areu i contatti vanno limitati solo a una parte dell’equipaggio (o ad un soccorritore o a due), in base alle esigenze sanitarie del
paziente stesso.

Quando si sale per raggiungere l’abitazione, tutta bardata dove l’unica cosa che si scorge di te è qualche centimetro della faccia, la paura e la tensione ti fanno tremare le mani, ma sai che devi stare attenta perché in quel momento ci sei solo tu a portare i presidi sanitari e nessun altro. Non puoi distrarti, non puoi farli cadere, perché ti servono… per quel servizio e tanti altri ancora. Quando sali in ambulanza con il paziente, cerchi subito gli occhi del collega: con uno sguardo attraverso la porta che separa il vano guida da quello sanitario ci si capisce, basta solo un piccolo sguardo colmo di complicità perché in quel momento le parole non servono: dobbiamo correre in ospedale perché quella persona conta su di noi e le dobbiamo il massimo.

Se potessimo esprimere un desiderio quello che forse chiederemmo ai cittadini è banalmente di rispettare le regole, perché se ciò avvenisse il nostro intervento si ridurrebbe drasticamente. Chiederemmo alle istituzioni che la nostra figura venisse riconosciuta, definita e tutelata per ciò che abbiamo sempre fatto, che continuiamo a fare tutti i giorni e che faremo anche dopo che questa emergenza cesserà. Perché i volontari e i dipendenti delle pubbliche assistenze ci sono sempre.

Firmato: una soccorritrice qualunque».