Coronavirus: l’intervista a Luca, infermiere al Niguarda ai tempi del Covid

Luca, nome di fantasia, ha 27 anni, è un infermiere di Cinisello Balsamo che lavora all’ospedale Niguarda e racconta com’è cambiata la sua vita lavorativa (e personale) ai tempi dell’epidemia di coronavirus.

In quale reparto lavora e come è cambiata l’organizzazione del vostro lavoro una volta che si è diffusa l’epidemia?

«Lavoro in Oncoematologia, reparto molto delicato e difficilmente gestibile in un periodo di pandemia. Noi rimaniamo allo stato attuale totalmente operativi e continuiamo a somministrare chemioterapici e per legge da noi i dispositivi di protezione non possono mancare (le famose maschere Ffp3 e i camici idrorepellenti). La fragilità dei nostri pazienti è nota, soprattutto dei pazienti ematologici in quanto la chemioterapia va a distruggere totalmente la produzione di globuli bianchi, rossi e piastrine e quindi puoi immaginare le conseguenze che un’infezione come il Covid potrebbe causare.

Cosa abbiamo modificato: abbiamo creato un triage prima telefonico in cui cerchiamo di capire se il paziente o la famiglia con cui vive hanno avuto sintomi riconducibili al Covid19 e da quanto. Se negativi vengono chiamati in reparto e facciamo un triage in cui ripetiamo le domande fatte al telefono e misuriamo i parametri vitali e decidiamo se è un paziente sospetto o meno. Se sospetto si isola si fa il tampone e nell’attesa dell’esito lo si gestisce come se fosse positivo. Se lo è realmente lo si trasferisce nel reparto dove gestiscono i malati di Covid19. Se negativo lo mettiamo poi in stanza con un altro paziente, se non presenta più sintomatologia. Ovviamente si fanno esami di laboratorio come prelievi del sangue e strumentali (rx torace in primis e successivamente la Tc torace se dopo l’rx rimane il dubbio). Se tutto va come deve si somministra la chemioterapia».

Le è successo di entrare in contatto con pazienti positivi al Covid19?

«Può capitare di entrare in contatto con pazienti Covid19, a me in primis è capitato. In generale, le disposizioni che abbiamo sono che bisogna indossare sempre la mascherina e il tampone non si fa a meno che non presentiamo sintomatologia. Nel caso si presenti dopo essere entrati in contatto con un paziente positivo allora si dà malattia e si fa il tampone prima di rientrare a lavoro (dopo 14 giorni, il periodo finestra nel quale si potrebbero mostrare i sintomi o essere veicolo per altri di contagio). Io ho dato disponibilità per andare a lavorare con i pazienti Covid19. L’ospedale Niguarda sta facendo ruotare il personale dei diversi reparti per cercare di sopperire alle mancanze di personale».

Ha mai avuto timore di poter contagiare la sua famiglia o i suoi coinquilini?

«Convivo con il mio ragazzo che ha scelto comunque di rimanere in casa nonostante la quarantena, ben cosciente dei rischi. Però ogni volta che rientro, dopo il lavoro, faccio la doccia e metto i vestiti con cui sono andato a lavoro in lavatrice. I miei genitori, invece, non li vedo da un mese. Alcuni miei colleghi hanno persino deciso di andare a vivere insieme momentaneamente, onde evitare di poter infettare la famiglia. È dura, ma al momento teniamo botta».