Coronavirus, l’appello dei medici al Ministro Speranza

Prof. Aldo Ferrara, Malattie Respiratorie Università di Siena

LETTERA APERTA AL SIG. MINISTRO DELLA SALUTE
On. Dr. Roberto Speranza
Illustre Ministro


La situazione Covid sta sfuggendo di mano e per questo le chiediamo di recepire questo nostro modesto contributo.
Appare evidente dai dati dell’Istituto Superiore di Sanità sugli ultimi 40 giorni analizzati che la patologia conferma la sua amplissima diffusibilità, già evidente dai primi studi in Cina del novembre 2019. E che le misure di contrasto, quelle soprattutto legate al distanziamento fisico godono di logica comprovata da altrettanti dati scientifici.


Tuttavia, nella diffusione mediatica, non si tiene conto della di alcuni parametri essenziali per individuare fasce e categorie di persone a rischio. A queste, specie soggetti anziani ed ancor più quelli affetti da comorbidità cardio-vascolare, cardio-respiratoria e metabolica, devono essere riservati i criteri di massima esclusione dalle fonti infettive con due possibilità: a) Individuazione per un isolamento strategico. b ) attuazione di protocolli di prevenzione empirica e tradizionale farmacologica.


L’incontrollato battage mediatico ha impedito chiarezza. Alla traccia numerica della valutazione epidemiologica e virologica, andava affiancata quella clinica con indicazioni precise sulle fasi di evoluzione clinica della malattia, fasi finora conosciute e identificate: la fase reattiva dell’infezione delle prime vie aeree, la fase iperreattiva della successiva evoluzione sul Tratto Respiratorio Integrato e la fase degenerativa cardio-vascolare costituita dalla risposta immune e ipercoagulativa e che si traduce in quadri di Acute Respiratory Distress Syndrome (ARDS). Ciascuna di queste tre fasi gode, allo stato attuale delle conoscenze e presidi terapeutici utilizzabili.


I termini di diffusione mediatica possono essere dunque implementati e migliorati per una più veritiera diffusione delle notizie quando il termine ‘contagiati’ diventa complessivo di altre sottocategorie la cui individuazione serve anche ai criteri di maggiore o minore distribuzione territoriale delle restrizioni. I termini sono: a) contagiati, ossia soggetti asintomatici la cui carica virale è inadeguata a riprodurre quadri di malattia e, alla luce delle conoscenze attuali, si esclude, anche se non tassativamente, che siano fonte di infezione; b) paucisintomatici in cui la malattia si sta sviluppando nella fase reattiva e che possono contagiare ma che clinicamente sono ancora indenni; c) sintomatici in fase iperreattiva con patologia lieve-moderata di ordine respiratorio; d) pazienti critici con insufficienza cardio-respiratoria trattabili a domicilio; e) pazienti da ospedalizzare anche e non solo in fase intensiva ma in fase di supporto ventilatorio, di sostegno ventilatorio meccanico ed infine in fase di trattamento controllato.


Circa lo screening attivo col tampone molecolare, vista l’impossibilità del test diagnostico di dare risposte utili che siano in grado di incidere sulla riduzione dei contagi (tempo medio di refertazione > 4 gg, saturazione della capacità operativa dei laboratori, drive in cui accedono solo i giovani, oltre il 90% di asintomatici-pauci-sintomatici impossibili ormai da inseguire con oltre 10.000 focolai accesi) suggeriremmo di riservare il test molecolare ai sintomatici ed alle persone esposte incentivando invece l’adozione dei test rapidi antigenici per tutti presso studi medici e farmacie. Questi saggi, che proprio per la ridotta sensibilità rispetto alla PCR sono però più indicativi della trasmissibilità e delle condizioni morbose dei positivi, andrebbero collegati a un sistema informatico di tracciamento immediato (non quello dell’App immuni). Su questi punti la Società Italiana di Virologia sta preparando una sua istanza che rilascerà presto ai media.
Utili anche gli schemi di prevenzione e controllo territoriale come in uso negli anni cinquanta per la limitazione dell’endemia tubercolare. Schemi che godevano di accertamenti utili (tubercolina) e di chemioprofilassi, in parte utili o esportabili come metodologia, nel contenimento territoriale del SARS-Cov.


A nostro parere, va implementato lo schema finora seguito dell’accertamento epidemiologico e virologico, con tracciamento e analisi statistica dei casi, se non si fa seguire da subito una valutazione completa dell’indagine clinica sul territorio con gli strumenti attualmente in possesso, vista la precarietà in cui si è abbandonata la medicina del territorio.
In pratica si chiede un’ulteriore focalizzazione del ‘rischio’ personalizzato Covid non più individuato nella massa cittadini ma nei cluster di popolazione ad alto (alimentaristi e dettaglianti) ed altissimo rischio (anziani sani, anziani con comorbidità e affetti da sindromi metaboliche). Detta focalizzazione dei cluster a rischio consentirebbe una prevenzione più mirata con recupero immediato delle potenzialità terapeutiche ospedaliere.


Le c.d. linee guida terapeutiche, che arrivano con molto ritardo, sono sprovviste di farmaci quali antibiotici e steroidi che sono considerati dalla letteratura a anglosassone recente salvavita per questo tipo di pazienti. Servono i primi a salvaguardare dalle infezioni concorrenti, specie nei pazienti cronici con comorbidità, e i secondi, il c.d. cortisone nelle sue varianti antiinfiammatorie a prevenire, controllare, modulare e spegnere la Cytokin Storm responsabile della Lung Injury (Acute Respiratory Distress Syndrome). Con aggiunta modulare di Anticoagulanti per la precoce Coagulazione Intravascolare Disseminata. Plus, aggiunta di diuretico nei casi di Wet Lung, polmone umido come avviene in ogni infezione ad alto impianto flogistico come nella patologia da SARS-Cov2, o nell’accezione corrente Covid. Sono asserzioni terapeutiche convalidate dalla letteratura scientifica accreditata e di cui non si è tenuto conto.

Lettera controfirmata dai Proff. Giulio Tarro e Aldo Ferrara