Senago, Impagnatiello alla sbarra: «Non sono pazzo»

Oggi, 10 giugno, Alessandro Impagnatiello torna alla sbarra nell’udienza dedicata alla conclusione del suo esame. Il 31enne è imputato di omicidio volontario pluriaggravato e occultamento di cadavere della fidanzata Giulia Tramontano, in attesa del loro primo figlio, nella loro casa di Senago.

«Non penso di essere pazzo, ho sperato di esserlo negli scorsi mesi per dare una risposta ma non penso di esserlo – ha detto rispondendo alle avvocate che lo assistono -. Ero un vaso saturo completamente pieno di bugie e di menzogne. Quando sono venuto a conoscenza in carcere da un servizio in televisione di averle dato 37 coltellate, una cosa che feci automaticamente fu mimare il gesto della mano per 37 volte. Non che ci sia un numero corretto, però è una cifra spaventosa, soffocante», ha detto Impagnatiello rispondendo al pm Alessia Menegazzo.

Molte domande sono state relative ai mesi precedenti all’omicidio da parte dell’accusa e dalle parti civili viste le discrepanze emerse tra il racconto di Impagnatiello e gli esiti delle indagini. In particolare le anomalie sono emerse rispetto alle domande poste al barman dal pm Alessia Menegazzo. Ad esempio riguardo la vacanza a Ibiza con Giulia Tramontano poche settimane prima di ucciderla. Il 31enne ha detto che si sarebbe dimenticato dell’altra ragazza con cui aveva una relazione parallela al punto da non rispondere nemmeno ai messaggi che gli inviava.

«È sicuro di quello che ha raccontato? – ha chiesto il pubblico ministero – Perché le copie forensi raccontano altro. In tre giorni troviamo oltre 500 scambi tra foto e messaggi». Impagnatiello risponde: «Sì è vero, mi scriveva, mi cercava, io tardavo a risponderle, mi ero distanziato moltissimo da lei; la foto del mare era un rispondere ai dieci, venti messaggi che mi mandava, era una cosa minuscola rispetto al nostro standard».

Altro dettaglio che non torna è la ferita alla mano che secondo Impagnatiello Giulia Tramontano si era procurata poco prima dell’omicidio oltre al fatto che l’imputato ha raccontato di una discussione pacifica che non coincide con le urla sentite dai vicini.