A Natale siamo tutti più buoni: le opere che ce lo ricordano ogni anno

Valori come la bontà e la carità, caratteristiche fondanti delle feste natalizie per come le consociamo, ai quali nelle feste natalizie prestiamo più attenzione, sono un’eredità di Charles Dickens.

Molti storici e antropologi, come Martyne Perrot, sono concordi nel dire che il modo in cui celebriamo il Natale deriva prevalentemente dalle usanze dell’Inghilterra vittoriana. Sarebbe in quel periodo che i festeggiamenti hanno preso la forma che ancora conosciamo. In precedenza la ricorrenza del Natale inglese era degenerata in eccessi di cibo e bevande, un’autentica occasione di abbandono al vizio. ‘Canto di Natale’, pubblicato il 17 dicembre 1843, tracciò un cambiamento netto rispetto alle usanze. Il racconto fu subito un successo senza paragoni: 6mila copie vendute nel mese di uscita, 15mila nel primo anno. È una favola sociale che aspira a una religione del cuore dove il valore predominante è la benevolenza verso il prossimo.

Il valore della carità e l’approccio paternalista mossero le coscienze della borghesia, classe sociale che rese l’opera un successo. Il protagonista Scrooge, stereotipo dell’egoismo e della meschinità, appartiene proprio alla middle class e ha la possibilità di riscattarsi perché ha compreso il valore della famiglia e della carità. Nella favola si riscopre il valore delle persone care, di chi è capace di essere felice stando insieme. Il natale diventa quindi pace sociale, appagamento domestico, una favola che rassicura il lettore. Ilaria Ferrari